Nato in Olanda, Herman Hegger si è convertito a Gesù Cristo in Brasile. Durante la mia infanzia sentivo spesso dire che il miglior modo per scampare all’inferno eterno era quello di entrare in monastero, allora decisi di seguire quel consiglio.
I miei sforzi in monastero
La vita monastica ha come scopo l’acquisizione di una volontà forte che permette di dominare le passioni e le concupiscenze. Nel mio monastero praticavamo diversi tipi di torture fisiche per raggiungere questo scopo: per esempio, ci flagellavamo diverse volte alla settimana con delle corde a nodi. Ci dicevano che se fossimo riusciti a sopportare con calma quel dolore intenso, avremmo avuto la forza di resistere ad ogni sorta di desiderio sensuale e sessuale. Ci dicevano anche che la flagellazione ci avrebbe fatto espiare i nostri peccati passati e che avrebbe abbreviato i nostri futuri castighi nel purgatorio. Una delle molte punizioni fisiche a cui noi ci sottoponevamo consisteva nel portare intorno alla vita, alla coscia, o al braccio una catena guarnita di punte che si conficcavano nella carne.
Oltre a queste punizioni che ci infliggevamo noi stessi, c’erano altri esercizi che dovevano renderci umili e liberarci da ogni orgoglio e da ogni vanità. Regolarmente uno dei preti doveva stendersi sulla soglia di una porta affinché tutti gli altri fossero costretti a camminargli sopra entrando. Quand’era il mio turno, avevo immancabilmente l’impressione di essere un verme che gli altri calpestavano, e pensavo che questa umiliazione accettata volontariamente piaceva a Dio.
La più abietta di queste umiliazioni consisteva nel leccare il pavimento con la lingua finché non era pulito. Questo mi dava l’impressione di essere messo allo stesso livello di una bestia, di un maiale nel fango, o di un insetto che si trascina nella polvere.
Tuttavia avevo un bel punirmi e umiliarmi, non vedevo alcun miglioramento nel mio carattere e nella mia condotta; vedevo al contrario che questo serviva soltanto a conservare la mia debolezza e il mio peccato naturale. Per esempio, quando bisognava leccare il pavimento con la lingua, il mio orgoglio e la mia vanità non facevano che crescere. Mi dicevo: "Che coraggio! Che volontà! Per infliggersi delle punizioni simili, bisogna veramente essere qualcuno di straordinario!"
Ho finito col capire che queste pratiche assurde non facevano altro che rafforzare il mio orgoglio. La vita monastica esige uno sforzo sovrumano, ma porta al fallimento. Perché? Perché né il prete, né il frate nella propria cella possono con i loro propri sforzi separarsi dalla loro natura peccaminosa.
I miei sforzi per arrivare a Dio con il misticismo
Durante gli anni di noviziato, oltre agli sforzi per vincere le nostre passioni fisiche con l’ascetismo, ci dedicavamo anche alla preghiera. Chiamavamo ciò: "Sviluppare la nostra vita spirituale, la nostra vita interiore". Si trattava di mantenere, con una intensità crescente, un contatto ininterrotto con Dio, con Gesù Cristo, e con Maria. Il nostro scopo supremo era di arrivare alla vera vita mistica.
Durante il mio noviziato, non sono mai arrivato a questa vita mistica alla quale aspiravo. Trovavo dunque la pratica della preghiera estremamente difficile. Ci indicavano certi metodi per condurre bene i nostri momenti di meditazione. La sera ci leggevano ad alta voce delle pie riflessioni di vari autori sulla passione del nostro Signore. Ci chiedevano di porci le seguenti domande: "Chi è colui che soffre? Che cosa soffre? Perché? Per chi?" Le risposte a queste domande dovevano ispirarci atti di pentimento per i nostri peccati, e atti di fede, di speranza e di amore che sfociavano in una vita più virtuosa.
Rispondevo velocemente a queste domande, il che lasciava del tempo alla mia immaginazione per vagabondare all’esterno della cappella. D’altronde, trovavo molto mediocri le riflessioni di quegli scrittori cattolici sulle sofferenze del Cristo: quei pensieri riflettevano semplicemente le loro proprie emozioni, i loro propri stati d’animo, e non riuscivano ad attirare a lungo la mia attenzione.
Un giorno, nel 1940, mi venne un’idea: "Perché non aprire la Bibbia? Di solito, vi trovai il pensiero di Dio, e non quello degli uomini". Le nostre regole monastiche esigevano che noi ascoltassimo delle meditazioni lette ad alta voce. In quei periodi non ci era permesso leggere la Bibbia, a meno che avessimo un’autorizzazione speciale, che però mi doveva essere concessa.
La mia lettura della Bibbia
Da quel momento cambiò tutto. La meditazione non mi procurava più fatica mentale come una volta. Prendevo piacere alla Bibbia. Mi rallegravo di essere in contatto con l’infallibile Parola di Dio, e sapevo di stare su una "terra santa".
Il testo biblico mi dava gioia. Vi ritornavo del continuo, e il fuoco divino presente nella Parola di Dio mi faceva tremare. Ero profondamente commosso dall’amore del Padre che si rivelava a me in questa Parola. Mi piaceva soprattutto meditare sul racconto della passione: ogni frase rivelava l’immensità della sofferenza dell’anima di Gesù. Diventava così sempre più grande ai miei occhi, nella sua gloria, nella sua misericordia, nella sua purezza e nella sua pace.
Gesù non era più per me un concetto freddamente intellettuale, non era più quella figura spersonalizzata ed effeminata che mi avevano costretto a contemplare in innumerevoli immagini. Ora esisteva un legame fra Lui e me; io però ancora non Lo conoscevo secondo la purezza dell’Evangelo, come Salvatore assolutamente perfetto.
Gli ostacoli alla mia relazione con Dio
Diverse cose erano di ostacolo fra Dio e me. La prima era la paura di essere rigettato a causa dei miei peccati. C’era anche il culto che rendono i cattolici alla Vergine Maria. Non ero mai riuscito a sviluppare un grande affetto per la Vergine Maria, e questo mi inquietava: mi avevano infatti insegnato che un figlio di Maria non poteva mai perdersi.
Quando in un momento di meditazione mi davo corpo e anima a Gesù Cristo, improvvisamente mi veniva l’idea che pregavo raramente la Vergine. Allora, nervoso, mi volgevo verso "la Mediatrice di tutte le grazie" per implorarla di salvarmi dalla dannazione eterna. Poi, pensando che le avevo accordato abbastanza attenzione, ritornavo subito verso il Cristo che rivela la santa Parola di Dio.
La più grande trappola, tuttavia, è la dottrina che accorda ai decreti della chiesa cattolica romana l’autorità suprema in materia di conoscenza, e fa di questa chiesa la sorgente suprema della rivelazione divina. Così per tutti i cattolici la Bibbia è ridotta ad un ruolo di secondo piano. Nessuna ammonizione papale che raccomanda ai fedeli la lettura della Bibbia può cambiare qualcosa.
Anche se un cattolico romano si consacra esclusivamente alla lettura della Bibbia, il senso profondo della Parola di Dio rimane incerto per lui. E se la chiesa si è pronunciata su un argomento, il cattolico romano è tenuto a rinunciare alla sua propria convinzione e a conformarsi a quella della sua chiesa.
La Bibbia non ha mai per lui il posto centrale e supremo che ha per il Cristiano biblico. Chi dunque vorrebbe leggere giorno dopo giorno, anno dopo anno, un libro di seconda categoria di cui non si può mai essere assolutamente sicuri? D’altra parte, questo libro potrebbe portare i suoi lettori a dubitare delle dottrine della chiesa; sarebbe un peccato capitale che conduce alla dannazione eterna!
La mia promozione e i miei dubbi
In capo a sette anni di sacerdozio, fui nominato professore di filosofia in un seminario cattolico in Brasile. Ero già in preda a dei seri dubbi; a noi tuttavia era vietato nutrire dubbi a proposito della chiesa cattolica romana. I protestanti si chiedono come gli eruditi cattolici riescano a studiare le Scritture senza scoprirvi il vero Evangelo. È perché il pensiero cattolico non è libero; un cattolico che si svia viene minacciato continuamente di andare nel fuoco eterno.
Se per caso un cattolico ammettesse che i Riformatori potrebbero aver visto giusto a proposito della Bibbia, ecco che subito tutti si mettono a rigettarlo.
Avevamo il diritto di praticare il "dubbio metodologico". Questo comportamento intellettuale puramente scolastico era perfino raccomandato. Tommaso d’Aquino lo utilizza nella sua "Somma Teologica". Consiste nell’ammettere provvisoriamente la tesi dell’oppositore, al fine di meglio comprenderla per confutarla in seguito. Si utilizza lo stesso metodo nella discussione con i non cattolici.
Un cattolico romano ha il diritto di fare finta di credere che il suo avversario ha ragione, ma gli è praticamente impossibile accettare realmente la tesi di un non cattolico.
Il mio primo dovere sacerdotale era la celebrazione quotidiana della messa, ed è in questo campo che cominciai a dubitare. La dottrina della presenza magica dopo la transustanziazione mi terrorizzava. Io mi sentivo come se fossi davanti ad un fuoco che mi bruciava e non davanti ad un fuoco che mi riscaldava. L’amore era assente. A cose fatte, provavo un’impressione di vuoto spaventoso.
La mia seconda funzione, per ordine d’importanza decrescente, era di sentire le confessioni. La confessione gioca infatti un ruolo importante nel mantenimento della potenza di Roma. È una strategia essenziale che permette al clero di dominare sul popolo.
Nel confessionale il prete è seduto su un trono di giudizio; il penitente confessa le sue debolezze e dichiara così dei segreti che non rivelerebbe a nessun altro. Spetta al prete accordare o rifiutare il perdono dei peccati, decidere se il penitente è degno dell’inferno o del paradiso. Qui non parlerò delle ragioni bibliche che la Chiesa Cattolica Romana adduce in difesa della pratica della confessione auricolare.
Io vorrei solo domandare: "È questa ‘la gloriosa libertà dei figli di Dio’? È questa la beata salvezza di cui parla la Bibbia con la sua lode estasiata? È questa la pace proclamata sopra Bethlehem? C’è forse qualcosa qui dell’immagine del Buon Pastore che va a cercare la pecora perduta nel deserto e la riporta sulle sue spalle all’ovile? Le pecore non sono piuttosto prese a calci con la minaccia della morte eterna lungo il sentiero della confessione auricolare verso il cosiddetto ovile delle pecore?.
Mi sento spinto verso la verità
Leggendo la Bibbia mi chiedevo se la mia chiesa fosse realmente conforme a questo Libro. La Bibbia proclama con una chiarezza assoluta che Gesù Cristo è il solo ed unico Mediatore fra Dio e gli uomini. È Gesù Cristo che ha preso su di sé il castigo del nostro peccato al Calvario.
Or la mia chiesa sosteneva che c’erano più mediatori; che la Vergine Maria in particolare era la "Mediatrice di tutte le grazie". Non ero più assolutamente sicuro che il papa avesse ricevuto da Dio un’autorità infallibile, ch’egli solo detenesse il potere di interpretare la Bibbia, e che i cristiani fossero tenuti ad accettare il suo punto di vista.
Come poteva il papa detenere un’autorità suprema che gli permetteva di rigettare o di ridefinire certe parole della Bibbia?
La paura paralizza la nostra mente e mantiene i nostri pensieri nel vago. Come può l’intelligenza funzionare correttamente se si è del continuo minacciati di peccato mortale, dell’inferno, e del fuoco eterno, a meno che non ci si sottometta ad una interpretazione particolare? Una mente che funziona in queste condizioni non può arrivare a delle conclusioni affidabili. Non avevo dunque la minima certezza a proposito delle dottrine cattoliche romane.
Potevo tutt’al più dire: "Può darsi che questo sia vero", ma non avrei potuto dire di più senza mentire. Provavo un senso di colpa, e la mia coscienza mi tormentava. In queste condizioni non potevo più essere cattolico romano: la dottrina della mia chiesa mi impediva di restarvi.
Fu terribile il giorno in cui con tutta sincerità smisi di sforzarmi ad asservire il mio pensiero ai dogmi cattolici romani. Fino a quel momento mi ero appoggiato sulla chiesa cattolica; avevo visto in essa una roccia sulla quale avevo edificato le mie convinzioni. Ma invece di costruire sulla roccia avevo costruito su della sabbia, e quando volli essere onesto, esaminare me stesso con tutta sincerità, è come se delle onde portarono via tutta quella sabbia che serviva da fondamento. La casa crollò, e fui portato via da un’ondata di disperazione. Da nessuna parte trovai sostegno. La mia concezione della vita dovette cambiare completamente.
Con il cuore pieno di dubbi a proposito della chiesa di Roma, non potevo restare cattolico. Posi fine a quella lenta morte che era la vita monastica. Abbandonai quella esistenza fatta di false sembianze e di ombra per un mondo autentico e vivente che mi permetteva finalmente di respirare. Diedi le dimissioni dal mio posto di professore e lasciai la chiesa cattolica romana. Tolsi i miei abiti di grossa stoffa di lana bruna che in Brasile servono solo a mantenere il caldo, e mi misi a camminare liberamente con un passo leggero, in maniche di camicia; ma nel mio intimo c’era ancora un fardello di colpa.
Salvato solo per grazia, mediante la fede
Esteriormente ero libero; interiormente non riuscivo a trovare riposo, poiché avevo completamente perduto coscienza di Dio. Fui aiutato molto da una chiesa evangelica di Rio de Janeiro, una chiesa locale i cui membri fondavano la loro fede sui soli insegnamenti della Bibbia. La compassione di queste persone mi fu di grande aiuto. Mi portarono degli abiti borghesi perché non potevo comprarmene; mi dettero da mangiare e mi ospitarono. Gliene sarò sempre riconoscente; ma ciò che mi colpiva soprattutto erano i messaggi del pastore. Quel modo di spiegare la Bibbia era completamente nuovo per me. Poteva un predicatore non cattolico aiutarmi?
Per tutti i miei anni di seminario e di sacerdozio mi avevano messo in guardia contro "le false dottrine" di quelle chiese. Ed ecco che a Rio sentivo un predicatore dichiarare che nessun essere umano può salvarsi da sé né meritare il cielo con i suoi propri sforzi: è perduto, senza speranza. Ero completamente d’accordo su questo, perché non ero riuscito a cambiare me stesso.
Avevo avuto un bel fare i più grandi sforzi e darmi ad ogni sorta di penitenza, non ero riuscito a diventare un uomo nuovo. Il predicatore poi mostrò che è solo ricevendo il dono di Dio, che offre il perdono e la vita nuova, che si può essere liberati dal peccato. Egli spiegò che questa grazia è data direttamente, senza nessun altro intermediario all’infuori di Gesù Cristo, che l’accorda sempre gratuitamente a tutti quelli che si danno a Lui e pongono tutta la loro fiducia nel Suo sacrificio perfetto.
La luce e la vita
All’inizio fu difficile credere questo. Era un po’ come una fiaba: era "troppo bello per essere vero"! Vedevo quanto era bello darsi al Cristo; ciò sembrava meraviglioso, ma troppo facile, non abbastanza costoso.
Quand’ero cattolico romano mi avevano inculcato che l’ottenimento della salvezza era la battaglia più ardua dell’esistenza, e che bisognava sforzarsi di meritare il favore di Dio. Ora però capivo l’insegnamento vero della Bibbia. La salvezza è sì la cosa più difficile al mondo, è la ricompensa di una obbedienza senza difetto a tutte le leggi di Dio; in altre parole richiede l’assenza totale di peccato.
La cosa più sorprendente di tutte è che il Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, soddisfò tutte queste condizioni per noi se noi poniamo la nostra fiducia in Lui. "E son giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù; il quale Iddio ha prestabilito come propiziazione mediante la fede nel sangue d’esso, per dimostrare la sua giustizia, avendo Egli usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; per dimostrare, dico, la sua giustizia nel tempo presente; ond’Egli sia giusto e giustificante colui che ha fede in Gesù." (Romani 3:24-26).
Un meraviglioso fascio di luce annientò finalmente le tenebre che mi circondavano, illuminando quel cumulo di rifiuti che era la mia vecchia vita. Aprii la mia anima a Gesù, in una totale fiducia in Lui. Non erano gli Ebrei che avevano crocifisso il Cristo: ero proprio io. Egli aveva preso su di sé i miei peccati.
La mia anima aveva ai miei occhi l’aspetto di una città devastata da un bombardamento. Provavo un dolore indicibile vedendo a che punto il peccato aveva impregnato il mio intero essere. Ma mentre percepivo questo cumulo di rifiuti, capivo e sapevo che il Cristo mi aveva perdonato e mi aveva trasformato in un vero cristiano. Ero diventato una nuova creatura.
Gesù parla della relazione fra Lui stesso e i veri cristiani in questi termini: "Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie mi conoscono" (Giovanni 10:14). Per me una nuova vita cominciò, in una vicinanza con Dio che non avevo mai conosciuto quando ero prete della chiesa cattolica romana. Il legalismo mortale della chiesa di Roma era ormai dietro le mie spalle. L’avvenire sarebbe stato fatto di una relazione personale con il nostro meraviglioso Signore.
Fonte: www.lanuovavia.org/